sábado, 8 de junio de 2013

UN'IMMAGINE ANTICA E AL TEMPO STESSO MODERNA DELLA TERRA / UNA IMAGEN ANTIGUA Y AL MISMO TIEMPO MODERNA DE LA TIERRA

MÚSICA: SCHILLER, HIMMELBLAU (ATEMLOS)


PUBLICADO EN RAGUSA-NEWS (SICILIA)
Un gruppo di scienziati con a capo il fisico Hrvoje Tkalcic ha scoperto, infatti, che, rispetto al mantello, il nucleo ha preso a ruotare a una velocità maggiore nelle decadi relative al 1970 e al 1990 mentre ha decelerato nell’altra del 1980.


ITALIANO:

Con una certa assiduità gli uomini di scienza facciamo riferimento ad antichi schemi per acquisire una percezione del mondo conforme alle risorse fisiche che tanta tecnologia ci offre. Tale percezione, che confluisce nelle osservazioni - per non parlare delle intuizioni- dei geni del passato, ci avvicina sempre più alla visione dell’uomo medievale e anche del greco.

Il nucleo della Terra ruota a differenti velocità. È la nuova realtà che neppure Giulio Verne si azzardò a ipotizzare nella sua opera. E tuttavia lo fa accelerando e decelerando con maggiore frequenza di quanto pensassero ai loro tempi personalità del calibro di Edmund Halley.

Ora crediamo, secondo uno studio divulgato in Australia, che questo movimento non sia sincronizzato con quello della massa restante del pianeta. Come dicevamo, nel 1692 l’astronomo e geofisico Edmondo Halley, lo stesso che studiò l’orbita della cometa Halley, aveva formulato l’ipotesi che gli strati interni della terra ruotassero a differente velocità e avessero distinta forza magnetica. Per tutto il secolo XX si pensò addirittura a rotazioni contrarie a quelle degli strati esterni.

Come una specie di dinamo la Terra ci protegge dal letale bombardamento dei raggi cosmici.

In effetti, un recente studio dell’Università Nazionale Australiana ha scoperto che non solo l’indice di rotazione del nucleo è distinto da quello del mantello - che è lo strato immediatamente sottostante alla crosta terrestre- ma che, addirittura, la sua velocità è variabile.

Un gruppo di scienziati con a capo il fisico Hrvoje Tkalcic ha scoperto, infatti, che, rispetto al mantello, il nucleo ha preso a ruotare a una velocità maggiore nelle decadi relative al 1970 e al 1990 mentre ha decelerato nell’altra del 1980.

Questa Terra, che è la nostra casa, è molto viva e ci sostenta perché un insieme infinito di circostanze presenti e passate, che si sono tra di esse intrecciate, l’ha permesso. Non solo il fatto che il nucleo ruoti, ci fa da padre-madre, abbiamo parenti stretti anche un poco più lontano.

Quattromilacinquecento milioni di anni fa, quando il Sistema Solare era ancora in fasce, un pianeta della grandezza di Marte, chiamato Teia in onore della madre di Selene, collise con la Terra.

Una massa informe del suo nucleo, crosta e mantello, schizzò verso l’esterno ma non poté allontanarsi troppo. Rimase purtroppo prigioniera dell’orbita di una Terra che mostrava un’enorme cicatrice.

A poco a poco quella massa informe, che al pari di una bolla di sapone si allungava per poi assottigliarsi, ritornò a recuperare la perfezione geometrica alla quale qualsiasi corpo stellare tende: la sfera.

Da quel cataclisma nacque la Luna; in seguito la sua compagnia si mostrerà indispensabile per rendere possibile la comparsa della vita sul nostro pianeta. La presenza del satellite, infatti, protesse la Terra da nuovi impatti di meteoriti, stabilizzò e rallentò la sua orbita, evitò così il formarsi di un clima estremo dannoso per lo sviluppo delle forme di vita complesse. Inculcò alla Terra ritmi e cicli combinati tra di essi in un modo così perfetto da permettere, almeno nel suo strato più esterno, che il secondo principio della termodinamica potesse essere disatteso.

Nel tempo, intanto, nuovi “mantelli” sono comparsi: l’idrosfera, l’atmosfera, la ionosfera, la magnetosfera…

Sebbene questi involucri concettuali siano evidenziati nell’età moderna e contemporanea, la vita intelligente ha potuto assegnare loro un nome. Già dalla fine del XIX secolo e inizi del XX viene fuori tutta una serie di discipline che, invece di sminuzzare le scienze in tante specializzazioni sempre più concrete, le integra senza disintegrarle. Un caso esemplare ci è offerto dall’ecologia che fa “proprie” parole come “Biosfera”, concetto che dobbiamo a Vladimir Vernadsky, termine subito ripreso e adottato da Theilhard de Chardin. Tanto Vladimir Vernadsky quanto Theilhard de Chardin, entrambi ne parlano come una sfera fisica geometrica che conserva la particella “bio” riferita alla vita e, ancora, Theilhard accenna alla “noosfera”, un termine molto più incisivo per la carica, fisica e spirituale, racchiusa da una sfera del sapere e dell’etica nella Terra.

Questo nuovo passo bio olistico è pressoché inarrestabile. Non sarà qualcosa a sé stante, ma ci farà scoprire nuovi mantelli. Allora comprenderemo meglio i greci. È un bisogno che cresce in misura esponenziale nella mente degli scienziati. Non creerà una nuova disciplina. Consisterà, invece, in un compendio di regole di normale buon senso come respirare o alimentarsi che nessuno considererà pleonastico e scontato o vincolante bensì come una nuova parte del mondo o dell’essere umano: due entità, cioè, che sempre più spesso è difficile separare, limitare o imprigionare dentro confini ben determinati. Sarà un nuovo impulso etico che impregnerà di sé la vita come fa l’atmosfera -termine, questo, coniato nel 1677 da Scheele partendo dagli esperimenti che Torricelli realizzava già dal 1644. Furono loro due, infatti, a scoprirla ma questo non significa che prima gli esseri umani non respirassero!

TRADUCIDO POR FRANCESCO PELLEGRINO

L’indice di rotazione del nucleo è distinto da quello del mantello


ESPAÑOL:

Cada vez los científicos practicamos más la perspectiva antigua para alcanzar una visión del mundo acorde con los hechos físicos que tanta tecnología nos brinda, esta morada que confluye con las observaciones, por no hablar de las intuiciones, de los genios de antes nos acercan más a la mirada del hombre medieval, incluso del griego. 

El núcleo de la Tierra rota a diferentes velocidades, es la nueva visión que ni Julio Verne se atrevió a plasmar en su obra. Y además lo hace acelerando y desacelerando con más frecuencia de lo que comentaran en su momento personalidades de la talla de Edmund Halley. 

Ahora creemos que este movimiento no está sincronizado con el de la masa restante del planeta, según un estudio divulgado en Australia. Pero como decimos, en 1692, el astrónomo y geofísico Edmund Halley, quien estudió la órbita del cometa Halley, especuló ya que las capas internas de la Tierra rotaban a diferente velocidad y tenían distinta carga magnética. Halley planteaba que la Tierra estaba formada por varias esferas, cada una con distinta carga magnética. Durante el siglo XX incluso hubo visiones que apuntaban a rotaciones contrarias a la de las capas externas, como una suerte de dinamo la Tierra nos protege así del bombardeo letal de rayos cósmicos. 

En efecto, ahora una investigación de la Universidad Nacional Australiana revela que no sólo el índice de rotación del núcleo es distinto al del manto, que es la capa que está por debajo de la corteza terrestre, sino que, además, su velocidad es variable. Los científicos liderados por el físico Hrvoje Tkalcic descubrieron que en comparación con el manto, el núcleo rotaba a mayor velocidad en la década de 1970 y 1990, pero desaceleró en la de 1980. 

Esta Tierra, nuestra casa, está muy viva, y nos sustenta porque una constelación de circunstancias actuales y pasadas se han dado cita para que así sea, y no sólo el rotar del interior es nuestro padre-madre, también tenemos familia un poco más lejos. Hace 4.500 millones de años, cuando el Sistema Solar aún vivía su infancia, un planeta del tamaño de Marte, llamado Theia en honor a la madre de Selene, chocó contra la Tierra. 

Una masa informe de nuestro núcleo, corteza y manto salió expulsada al exterior, no pudo ir demasiado lejos, quedó atrapada en la órbita de una Tierra con una enorme cicatriz. Poco a poco a esa masa informe como una pompa de jabón que se estiraba y se encogía, se fue reconvirtiendo a la perfección geométrica a la que todo cuerpo estelar quiere aspirar: la esfera. 

Del cataclismo aquel surgió la Luna; después se mostraría como una compañera esencial para la aparición de la vida en nuestro planeta. La presencia del satélite no sólo protegió a la Tierra de nuevos impactos de meteoritos, estabilizó y ralentizó nuestra órbita, evitó así un clima extremo pernicioso para el desarrollo de la vida compleja y nos inculcó unos ritmos y ciclos orquestados de una manera tan perfecta que permitió que la segunda ley de la termodinámica, al menos en la capa más externa, pudiera ser transgredida. 

Nuevas capas han hecho su aparición con el tiempo, la hidrosfera, la atmósfera, la ionosfera, la magnetosfera… Aún nuevos envoltorios conceptuales aparecen en la edad moderna y contemporánea, la vida inteligente puede nombrarlas. Desde finales del siglo XIX y principios del XX, aparecen una serie de disciplinas que ya no cortan las ciencias en trocitos de especializaciones cada vez más concretas, sino que las integran, en vez de desintegrarlas; tal es el caso por ejemplo de la ecología que aglutina palabras como Biosfera; concepto que debemos a Vladímir Vernadsky, también enseguida adoptada por Teihard de Chardin; hablan de ello como una esfera física geométrica a la par que no pierde la partícula "bio" referente a la vida, es más, Teilhard ya habla de "noosfera", un término aún más desgarrador por la fuerza física y espiritual que encierra una esfera del conocimiento y de la ética en la Tierra. 

Este nuevo paso holístico ya es incontenible, no será algo aparte, pero nos descubrirá nuevas capas, entonces comprenderemos mejor a los griegos, este impulso crece y crece en las mentes de los científicos; no será una nueva disciplina, sino un compendio de reglas de sentido común que nadie, como el respirar o el comer, verá como un adorno u obligación, sino como una nueva parte del mundo o del ser humano, dos entidades a las que cada vez es más difícil separar y poner límite o frontera. Ese nuevo impulso ético impregnará la vida como lo hace la atmósfera, palabra usada por vez primera en 1677 por Scheele a partir de los experimentos de Torricelli que desde 1644 realizaba, ellos son "sus descubridores", lo cual no quiere decir que los seres humanos antes de Torricelli no respiráramos.

EDMUND HALLEY

UN ESPACIO NO ESTRUCTURADO CAPAZ DE GENERAR CUALQUIER FORMA: LA EVIDENCIA




GEORG WILHEM FRIEDRICH HEGEL: Parte de la consideración de que el principio supremo, la realidad absoluta, es la idea. La Idea es el principio, el desarrollo y el fin de todo, es el ser que constituye la esencia de todas las cosas y, a la vez, el sustrato de todo fenómeno.

¿Cuántas veces escuchamos al día a contertulios televisivos, políticos, dirigentes, e incluso a profesores, científicos y filósofos la expresión: "es evidente que..." o "evidentemente tal cosa..."? ¿Hasta qué punto actuando así están violando la mismísima lógica? ¿Qué es la evidencia? ¿Dónde reside y cuál es nuestra relación con ella? ¿Es intelectual o más bien está localizada en la esfera del sentir? En este artículo se dan pistas sobre su origen, naturaleza y función, y el lugar exacto que ocupa en la mente humana.


1. INTRODUCCIÓN: ¿QUÉ ES LO EVIDENTE?

Este artículo es casi una necesidad de expresión que brota sin que uno pueda nada más que observar cómo brota, lo demás es represión hacia lo más profundo de un estado de libertad intelectual. Ha sido Joaquín quien me ha hecho pensar. Efectivamente, lo aquí vertido ha despertado en mí sobre todo por el hecho de haber leído un fantástico artículo: "La delgada línea entre el prejuicio y la idea inspiradora (en ciencia)lleno de imprescindibles reflexiones de mi compañero de batallas científico-tabernarias Joaquín Sevilla Moróder

Parece que no le dejó indiferente mi anterior escrito sobre el cambio climático y la relación "evidente" entre la interna dinámica terrestre y la externa o atmosférica ("inmersos en el gran cambio"). En principio muchos años de observación y una irrefrenable tendencia a librarse de prejuicios nos ha marcado la vida a ambos, somos científicos comprometidos y pobres, no tenemos nada que perder.

Precisamente al final de su artículo dice refiriéndose al mío: "... Un artículo que me ha generado una sensación ambivalente, porque en primera lectura me ha olido a prejuicio hippy, y en segunda creo que lo que realmente dice es casi evidente… con lo que sugiere la forma de decirlo aún estoy digiriendo...". El detalle fundamental que me ha hecho reflexionar y plantearme algunas cosas está precisamente en esa "casi evidencia" que vislumbra en mis palabras y reflexiones. Joaquín es un maestro, me ha obligado a escudriñar en la evidencia.

No sólo me ha gustado mucho ese artículo, lo mejor de todo es que me he divertido leyéndolo. Tengo que añadir una cuestión sobre mi irrefrenable tendencia a escribir desde el sentir, es un trabajo igual de honesto que si no lo hiciera, y aunque la ciencia en sí no se ve afectada, quizás estéticamente se haga más atractiva para el no experto; en realidad actuando así solamente pongo más carne en el asador, me desnudo más, me expongo sin miramientos, y es que me atrae sobremanera lo figurativo, la prosa, la poesía: cuando la palabra o concepto "evidente" aparece en una conversación, discurso, texto..., se está haciendo referencia precisamente a un sentimiento, pues la evidencia es una actividad del sentir de categoría universal, lo que no es: un mecanismo intelectual congelado y establecido.

Tampoco lo evidente puede ser a medias; algo es, o no es, evidente... No podemos hacer nada al respecto, en todo caso sólo describirlo, pero nunca razonar o explicar, en caso de que lo sea, por qué lo es y viceversa. La categoría "ser" no surge de la observación de muchos objetos que "son"; el que yo los reconozca como cosas que "son" se produce por el conocimiento de la categoría "ser", la cual no tiene por qué tener ninguna expresión verbal.

Uno de los párrafos que más me gusta y con el que más me identifico del artículo de Joaquín "La delgada línea entre el prejuicio y la idea inspiradora (en ciencia)" reza: "... El misticismo ha generado múltiples ideas que, asumidas en la actividad científica no son otra cosa que prejuicios. Y a eso “suena” la hipótesis Gaia, a misticismo impregnando la investigación. En realidad si se le quita del nombre esa referencia a la deidad griega y se analiza la propuesta en sí y la evidencia científica al respecto (el modelo DaisyWorld es impresionante) resulta evidente..." he ahí otra vez el concepto evidencia (con apellido) y evidente a secas.

La hipótesis Gaia es de todo menos una teoría científica, y sin embargo el misticismo ha sido, es, y será, un camino de conocimiento, y aunque queda indefectiblemente ligado a una época pasada y a un contexto religioso, su presencia en el siglo XXI es otra "evidencia" y que tarde o temprano iba a hacer su aparición en la ciencia contemporánea, no era ninguna sorpresa.

ESQUEMA DE LA LÓGICA HEGELIANA: Del idealismo kantiano surge una corriente de idealismo absoluto, representada principalmente por Fichte, Schelling y Hegel. La Lógica es la ciencia del ser, la ontología puesto que lo real (ontos) se identifica con lo racional (logos). Para Hegel, todo lo racional es real y todo lo real es racional. La Lógica estudia la primera fase del despliegue de la Idea, es decir, la Idea en sí, la cual se despliega como ser, como esencia, como concepto.



2. LA EVIDENCIA ES UN SENTIR...

La evidencia pertenece a la esfera del sentir y es un sentir universal a priori. Es conocido que las "Categorías" de Aristóteles no son esclarecibles ni derivables. Las vivimos o padecemos sin poder hacer nada, como el aire que respiramos, nos preceden, como otros sentimientos universales (otro día hablamos de ellos), por ello no necesita ser anunciado ni demostrado.

Este nuevo impulso científico consciente deberá impregnar la vida del investigador como lo hace la atmósfera, palabra usada por vez primera en 1677 por Scheele a partir de los experimentos de Torricelli que desde 1644 venía realizando, ellos son "sus descubridores", más tarde Louis Joseph Gay Lussac en 1802, formula la ley de la expansión de los gases, lo cual no quiere decir que los seres humanos antes de Torricelli no respiráramos o que los gases antes de Gay Lussac no cambiaran de volumen según la temperatura...

Ser científico es reconocer también que "el sentir" es un órgano de conocimiento con sus propios mecanismos muy diferentes al "pensar". Que seamos unos analfabetos del acceso a la realidad a través de ese órgano de conocimiento no quiere decir que lo puramente relacionado con el intelecto sea la única manera de hacerlo. Nadie puede demostrar que 1+1=2, simplemente "es evidente" no hay mecanismo intelectual ninguno que lo avale, por lo que afirmar que lo es (que es evidente), es una redundancia ilógica o muletilla enfatizante que científicamente no tiene ningún rigor, simplemente sobra.

Evidencia y lógica están íntimamente relacionadas. Veamos cómo y en qué medida: cuando un pensador se pregunta algo como ¿qué diferencia hay entre un pensamiento y una disparatada secuencia de palabras, que sin embargo es gramaticalmente correcta y también sintácticamente acertada?, está claramente acercándose a una experiencia limítrofe del pensar, o lo que es lo mismo, poniendo fronteras entre un conjunto de mecanismos mentales en los que todo vale y otro permeado por el rigor de la lógica, es decir: la evidencia.

Y la respuesta a la pregunta anterior es: la diferencia radica solamente en la evidencia o en la lógica del pensamiento. El caso es que el pensar intelectual no va más allá de esa constatación. Es incapaz de describir en qué consiste o explicar esa evidencia, es incapaz de exponer sus características. Y es que para poder hacerlo debería hacer uso de la evidencia misma.

Sin embargo tenemos un camino de introspección que al menos es fiable, libre de prejuicios y correcto por tanto, y que puede ayudarnos a inmiscuirnos en ese sentimiento universal que es la evidencia: a la evidencia le sigue el pensar; el pensar por lo tanto viene a partir de (o detrás de) un sentimiento del pensador que dirige la actividad del pensar.

EVIDENCIA = CERTEZA UNIVERSAL



3. EL PENSAR NO ESTÁ SOLO, ÉL MISMO SE HACE COMPAÑÍA

El pensar no es ningún sentimiento que sienta procesos intelectuales, excepto por el hecho de que sí siente el aspecto lógico. La lógica no es ninguna ciencia que proporcione normas, es una ciencia descriptiva y a posteriori: describe cómo actúa el pensar. Si fuera de otro modo, tendríamos que aprender el pensar desde la ciencia, entonces nos encontraríamos el problema de tener que entender esa ciencia o la enseñanza de ella sin tener previamente una lógica.

El quid de la cuestión es el "cómo" pensamos, es decir, el hecho de que haya un "cómo" es ya todo un campo de investigación científica, y es más, todavía es observable por el pensar mismo, pero ya no es explicable, no podemos describir sus mecanismos. Quien por el ejercicio de la atención descubre la esencia intuitiva que aquí se trae a la luz, es decir, el comprender inmediato, como elemento básico y precedente del ser humano cognoscente, no dejará de ver el parentesco que guarda ese elemento con la evidencia. A la misma región pertenece el fenómeno, apenas valorado, de que el pensar, en la medida en que piensa algo nuevo, es siempre improvisado: uno no sabe a priori qué es lo que va a pensar, si no, ya lo habría pensado.

Paul Feyerabend afirmaba que cuando un enunciado es refutado por la evidencia lo que suele suceder es negar que la evidencia refute el enunciado. Así, la comunidad científica se comportaría como una comunidad religiosa más. También que la ciencia no avanza conforme a un método rígido, sino como cualquier ideología (incluidas las religiosas). Rechazaba la teoría de la falsabilidad de Karl Popper: la ciencia emite enunciados que descarta si hay evidencia en contra y mantiene mientras la evidencia los va corroborando aunque esa corroboración no puede demostrar su verdad...

La infalible idea de que el entendimiento no puede ser explicado, derivado y por lo tanto entendido, a partir del no entendimiento, se contradice sin embargo con mucho de lo que hoy se valora como "científico", y que precisamente es contradictorio en ese punto. Hay que reflexionar de una vez y con todas las consecuencias, en que la palabra no puede surgir verbalmente articulada por casualidad sin un sujeto parlante, pero es que tampoco se puede entender sin ese sujeto. En la medida en que las capacidades cognoscitivas (pensar, sentir y voluntad de...) de la consciencia parten de un elemento "capaz de entender" y que es normalmente accesible a la conciencia como vivencia limítrofe, capaz de distinguir y apuntar a esas fronteras, podremos hablar de un pensar científico consciente.

Es sumamente curioso que, cuando la Iglesia Católica recientemente en el siglo XX, pidió perdón por su censura de Galileo, el entonces cardenal Ratzinger (hoy Benedicto XVI) intentó mitigar la culpa de la Iglesia señalando que, en aquel momento, "la evidencia acumulada" apuntaba a que, en efecto, la Tierra no se mueve. Y, para respaldar esta opinión, Ratzinger citaba ni más ni menos que a Paul Feyerabend. Es terriblemente irónico que alguien que se propone combatir la ‘dictadura del relativismo’ busque amparo intelectual en uno de sus mayores exponentes.

Feyerabend sostiene que Galileo ya tenía una teoría preconcebida, y que a partir de ella, buscó datos que la confirmaran y, en el caso de que esa teoría no encajase bien con algunos datos ya establecidos previamente, formuló hipótesis ad hoc para explicar esa aparente inconsistencia. Feyerabend opina que, de hecho, así operan todas las teorías científicas.

PAUL FEYERABEND: EL ANARQUISMO DE LA CIENCIA



4. CONCLUSIÓN: DE POR QUÉ EL AFIRMAR QUE ALGO ES EVIDENTE DEMUESTRA QUE NO LO ES

Pocas actividades humanas se malinterpretan tan fácilmente como el pensar. La voluntad (el querer) o el sentir, por sí mismos, proporcionan un reconfortante calor anímico incluso recordando, es decir, cuando se recuerda lo ya vivido. Sin embargo el recuerdo del pensar (recordar pensamientos) nos deja fríos. Esto no es más que la intensa proyección de una sombra: la de su verdadera realidad, pues recordar no se hace con el mismo pensar científico y dinámico, vivo, que desvela los fenómenos, sino que trae al presente las imágenes mentales de los pensamientos que fueron dinámicos y ya son cadáveres de aquel pensar dinámico que estuvo vivo, pero que ya no lo está. 

Sin embargo, analizando la parte del sentir que conlleva el curioso pensar dinámico, no cabe duda de que en la propia actividad del pensar se penetra cálidamente en los fenómenos del mundo. Esta penetración se realiza en la tarea científica con una fuerza que fluye de la misma actividad del pensar, y que es la fuerza del amor; es el amor al saber, a la verdad, a la propia ciencia... No puede objetarse que quien incluye el amor en la actividad del pensar introduce en ella un sentimiento: el amor. 

De hecho, quien se entregue al pensar en su esencia, encontrará en él tanto el sentimiento como la voluntad en su más profunda realidad; quien se aparte del pensar y se incline solamente hacia el "mero sentir" y o el "mero querer" pierde, con ellos, la verdadera realidad. 

Además quien se proponga vivenciar el pensar intuitivamente (por ejemplo en el espacio donde se encuentra la evidencia), experimentará correcta y justamente el sentir y la voluntad; pero el misticismo del sentimiento o la metafísica no van a estar nunca justificados frente a la penetración de la existencia por el pensar dinámico vivo e intuitivo de la evidencia o la certeza. 

Las concepciones místicas y metafísicas de la actividad anímica juzgarán con excesiva ligereza que son ellas las que se basan en la realidad, y que el pensador científico intuitivo se forma, de manera insensible e irreal, mediante “pensamientos abstractos”, una imagen fría del mundo. Pero si no experimentan la naturaleza de la evidencia o el sentir de la certeza, nunca lo comprenderán.

La dificultad de captar la esencia del pensar por medio de la observación (que es el mismo pensar guiado por la atención) estriba en que esta esencia escapa con demasiada facilidad a la observación anímica cuando ésta intenta dirigir su atención hacia aquélla (el pensar se observa con el pensar).

Así queda únicamente lo abstracto sin vida, los cadáveres de lo que fue un pensar dinámico y vivo. Si sólo vemos este elemento abstracto, nos veremos fácilmente empujados a entrar en el elemento "lleno de vida, alegría y margaritas" del misticismo del sentimiento, o incluso en el de la metafísica.

No cabe ninguna duda: antes de que algo pueda ser explicado ha de existir la facultad de comprender la explicación. Así se ha descrito aquí un espacio no estructurado, no caracterizado por ninguna forma concreta, y que posee la fuerza y la facultad de generar cualquier forma. Además: que la ciencia con amor (incluso a sí misma), con poesía y con alma, es igual de ciencia, pero más calentita... Y no sólo eso, de esta manera calentita (entre otras) se libera del prejuicio de no reconocer la existencia del espacio que la sustenta y precede: "el sentir" y así ser más auténtica y consciente, pues antes que el pensar, mesurar, relacionar... está la capacidad de sentir certeza.

Por tanto, está en la naturaleza de la evidencia el ser "certeza", un sentimiento que denota que algo es (intuitivamente) correcto por encima de nuestra subjetividad, así que es a través de un sentimiento objetivo y por lo tanto compartido con el resto de los seres humanos pensantes y sintientes que alcanzamos esa certeza. Por ello cuando escuchamos a alguien afirmar "evidentemente tal cosa...""es evidente que..." es porque no lo es... Así de claro.


MARÍA ZAMBRANO

martes, 28 de mayo de 2013

INMERSOS EN EL GRAN CAMBIO: UN NUEVO CLIMA, UNA NUEVA MENTALIDAD Y ¿UN NUEVO URBANISMO?




PUBLICADO EN ABC, Y VARIOS MEDIOS
MÁS DE 200 KILÓMETROS CÚBICOS DE HIELO SE HAN REDISTRIBUIDO DESDE GROENLANDIA POR TODA LA TIERRA EN LOS ÚLTIMOS 20 AÑOS. AL MENOS 50 EL ÚLTIMO VERANO, NUEVAS CORRIENTES, CAMBIOS EN EL CLIMA Y EN LA CORTEZA YA SON UNA REALIDAD.

La adopción de un enfoque uniforme que contemple los cambios atmosféricos y los telúricos en estrecha relación es ya una mirada emergente cada vez más presente entre los científicos.

Las actividades humanas industriales y nuestro nuevo estilo de vida, con emisiones de gases y otros cambios que hacen el clima más extremo, conllevarán en no muy largo plazo, un aumento de más de 4°C en la media del planeta. Mientras tanto, lluvias nunca vistas y sequías prolongadas comienzan a ser normales.

Las respuestas más profundas que se darán sin duda y afectarán a nuestras ciudades, entre ellas los reajustes corticales debidos a los "climatequakes" o terremotos climáticos, erupciones en zonas volcánicas y por supuesto ciclones, huracanes y tornados, amén de las grandes sequías y períodos anormalmente lluviosos.

El riesgo es una noción típica de la modernidad, ha crecido con ella, domina en la actualidad a la sociedad y a su unidad construciva, la ciudad y por lo tanto lo que hay en ella: todas las costumbres y relaciones sociales. Podemos afirmar que ya somos la sociedad del riesgo.



1. EL NUEVO CONTEXTO PLANETARIO YA ES UNA REALIDAD

Desde el último máximo glacial, hace unos 20.000 años, nuestro mundo ha experimentado una metamorfosis extraordinaria: uno de los cambios más bruscos de toda la historia de la Tierra se ha producido en un abrir y cerrar de ojos geológicamente hablando (una relación de 1/225.000 en la vida total de la Tierra); se trata por lo tanto de un lapso, un suspiro en el que hemos pasado de un páramo helado por doquier a un mundo templado en el que nuestra civilización ha crecido y prosperado, hoy la ciudad representa la unidad estructural de un sistema que podemos llamar Tierra. 

Durante este período, la asombrosa cifra de 52 millones de kilómetros cúbicos de agua fueron redistribuidos por el planeta de la manera como el agua líquida se distribuye, poco a poco y desparramándose, como un gran continente sólido que se funde, las capas de hielo se derritieron y los niveles globales del mar previamente agotados aumentaron más de 130 m compensando así la distribución del peso de las enormes masas de hielo. 

El rápido calentamiento global, del orden del 6°C, se tradujo en una nueva circulación atmosférica con nuevos patrones mucho más dinámicos y no tan ceñidos a movimientos preferentes, mucho más caóticos y cambiantes para dar cabida a condiciones más o menos cálidas y húmedas. Ello trajo como consecuencia una modificación de las tendencias más importantes del viento y una reordenación completa de las zonas climáticas. Pero éstas no fueron las únicas consecuencias de la dramática transformación post-glacial de nuestro mundo. 

La parte sólida de la Tierra participó también en semejante y acelerado cambio, es más, aún participa, como la litosfera (la frágil capa exterior de nuestro planeta que comprende la corteza y el manto superior) tuvo que soportar cambios tensionales como nunca había experimentado y amplias zonas corticales fueron sometidas a importantes reajustes en respuesta a los cambios masivos que supuso toda la carga o descarga en forma de agua y hielo. 

Los resultados incluyeron grandes reajustes isostáticos, movimientos corticales, terremotos en regiones anteriormente cubiertas de hielo en altas latitudes y un espectacular aumento en el nivel de la actividad volcánica de varias zonas al disminuir la presión del tapón que suponía el soportar tan ingentes cantidades de sólido, por ejemplo en Islandia

La respuesta, se expresa principalmente a través de la activación, el ajuste o la modulación de una gama de procesos tectónicos y superficiales que incluyen la desestabilización de zonas recientemente hidratadas, de la existencia de gas, también con formación de deslizamientos submarinos y continentales, ocurrencia de nuevos flujos de materiales abandonados por el cemento que supuso el hielo que los unía, grandes inundaciones repentinas en amplias zonas antes inaccesibles a un agua líquida que no existía, y una nueva actividad volcánica y sísmica fruto de la descompresión, como cuando a una botella de champán se le quita el corcho. 

La adopción de un enfoque uniforme que contemple los cambios atmosféricos y los telúricos en estrecha relación, es ya una mirada emergente cada vez más presente entre los científicos que contemplamos los procesos naturales concatenados. El reconocimiento de las diferencias de potencial, tanto en ritmo y en escala del período de calentamiento post-glacial es también una visión que explica muchos de los enigmas de la dinámica terrestre. 

De ello se deduce asimismo la posible influencia del cambio climático antropogénico en relación con una serie de características geológicas y geomorfológicas peligrosas a través de una variedad amplia de ajustes ambientales que afectan tanto a la atmósfera como a la hidrosfera y también a las zonas profundas que sustentan nuestras ciudades y por lo tanto nuestras relaciones personales, culturales, afectivas... 

2. LA CIUDAD UNA UNIDAD SISTÉMICA CADA VEZ MÁS VULNERABLE

Los riesgos geológicos y geomorfológicos dependerán por tanto del clima tanto como de la dinámica interna y de la tectónica, y la realidad se empeña en señalar que las zonas alejadas de los bordes de las placas están en continuo reajuste dependiendo de las condiciones climáticas, la presencia de una pesada, útil y móvil sustancia: el agua y el peso y la presión de la misma

Cuando intentamos adelantarnos a la evaluación potencial de una respuesta de la Tierra como un sistema, parece prudente considerar que en breve, niveles de calentamiento de 2°C van a ser inevitables, las consecuencias empezamos a verlas. El análisis de 66 estaciones repartidas por ambas vertientes de la cordillera pirenaica muestra que las temperaturas han aumentado 1,2 grados de media desde 1950. «El Pirineo es un punto caliente del proceso, una zona donde ya se aprecian signos inequívocos del cambio global», resume Gabriel Borràs, responsable de Adaptación de la Oficina Catalana de Cambio Climático (OCCC).

Las actividades humanas industriales y nuestro nuevo estilo de vida con emisiones de gases y otros cambios que hacen el clima más extremo, conllevarán en no muy largo plazo, un aumento de más de 4°C en la media del planeta. Se dará un mayor gradiente de calentamiento en algunas regiones mientras en otras no será tan brusco. En las zonas de cambio brusco las ciudades sufrirán embates aún difíciles de prever, la cultura, la historia y el buen conocimiento del medio pueden ayudarnos, pero los letales cortes en investigación nos harán cada vez más y más vulnerables.

Es importante destacar que, aunque se tenga en cuenta que existen incertidumbres significativas a la hora de proyectar el futuro en relación a la dinámica del medio sobre el que vivimos, el ser humano será testigo, si no lo está siendo ya, de tales cambios que afectarán sobre todo a la estrecha y frágil interfaz (entre la atmósfera y la hidrosfera) en la que habitamos, la que modificamos y la que responde en forma de tormenta, tornado, erupción o terremoto a nuestras actividades.

Esa incertidumbre, no sólo se prevé en relación con las proyecciones climáticas, sino también en lo que se refiere a los vínculos entre el cambio climático y las respuestas más profundas que se darán sin duda y afectarán a nuestras ciudades, entre ellas los reajustes corticales debidos a los "climatequakes" o terremotos climáticos, erupciones en zonas volcánicas y por supuesto ciclones, huracanes y tornados, amén de las grandes sequías y períodos anormalmente lluviosos en regiones que no las conocían que dejarán de parecer anécdotas para convertirse en normas, como estamos viendo ya. Los récords de lluvias se van batiendo cada vez con más frecuencia anunciando lo que los científicos venimos adelantando desde hace décadas. Nuestras infraestructuras civiles, pantanos, centrales energéticas, industria, y por lo tanto nuestras ciudades, se verán muy afectadas, lo que ahora está ocurriendo no es sino un primer esbozo de lo que está por venir.

No se trata de anunciar catástrofes, sino de adelantarse a la realidad y dar pasos efectivos para fortalecer nuestras ciudades, y las herramientas para hacerlo son dos: LA CULTURA y  LA CIENCIA, la manera de plasmarlo haciéndolo tangible es repensar el urbanismo del siglo XXI en una sociedad que se empeña en vivir en ciudades y en individualizar el espacio y el tiempo. Veamos cómo lo estamos construyendo.

YESA EN EL PUNTO DE MIRA


3. UNA NUEVA EXPERIENCIA PARA LA VIDA EN EL PLANETA: LA CIUDAD COMO CONTEXTO VITAL

Ya somos más de 7.000 millones de almas viviendo eminentemente en ambientes urbanos, más del 50% de la población mundial lo hacemos ya en ciudades de más de 5000 habitantes desde 2010, ese ecuador supuso una nueva experiencia para la vida en la Tierra. Pocas son las personas cuya mentalidad se va acostumbrando a ello. Nuestra manera de acogerlo, en general lo considera como de un futuro lejano cuando ya vemos que el clima puede desencadenar terremotos (Jaén, Pamplona, Lorca...), erupciones volcánicas (Etna, Vesubio, Monte Santa Elena...) desestabilizaciones de laderas por doquier, paralización de industrias, infraestructuras de comunicación, etc.

La población en general aún vive o quiere vivir envuelta en ciclos bien marcados, verano invierno, primavera otoño, cada cual con sus caracaterísticas propias y que nos resistimos a perder. Pero esa pérdida es un hecho ya constatado, no hace falta hablar de la poca necesidad de aparatos de medida ultramodernos para constatarlo, pues es ya mucha la población que lo da por sentido, aceptado o intuido. 

A cada una de las dos primeras fases de la modernización de nuestra civilización y cuyo marco fue la ciudad: la ciudad clásica y la industrial, correspondió una mutación profunda en las maneras de pensar, producir, utilizar y gestionar los territorios en general y las ciudades en particular, en especial la circulación de las personas y la información: el transporte colectivo, los diarios, la radio, la televisión y las telecomunicaciones. El resultado en la psicología es notorio: había dos mundos que se miraban con curiosidad o con recelo: los de ciudad y los del campo, incluso esa diferencia es objeto de una cultura y una literatura que lo remarca, quizás Miguel Delibes con "los santos inocentes" fotografió esa realidad con suma claridad. 

Dentro de 20 años más del 60% de la población mundial viviremos en ciudades, medias, grandes o muy grandes. Muchas de ellas se han construido en muy cortos lapsos de tiempo con los criterios heredados de los planteamientos de los grandes urbanistas y arquitectos del siglo XX. La capacidad de seducción e inercia de aquellos postulados industriales siguen casi imparables. Si la cultura no adereza a nuestros dirigentes, la obra de adecuación al futuro no prosperará.

Las ciudades son impersonales, casi nadie conoce a sus vecinos ya, nadie establece lazos afectivos, por lo que tampoco nadie se percata de su ausencia para indicar a los servicios de emergencia donde podrían encontrarse e ir a rescatarlos si ha habido una desgracia. De esa manera murió mucha gente bajo los escombros en ciudades japonesas, neozelandesas, chilenas o italianas después de los últimos terremotos, sin embargo en las comunidades rurales que sufrieron asimismo el azote sísmico, enseguida se echaba de menos a un vecino o familiar, por lo que esas personas fueron enseguida rescatadas. Trágicamente, una parte muy significativa de estas ciudades también de Europa y España están localizadas cerca de regiones de conocida (o aún no) actividad sísmica o inundable. Potenciar el encuentro y actividades colectivas entre las personas físicamente cercanas, ya se estila en Tokio y otras megalópolis mundiales. 

La imparable diversificación social transforma en una medida mayor de la que creemos las estructuras familiares y vecinales, y cada día es mayor, por lo tanto más pronto que tarde cambiarán las ciencias sociales y la configuración de las ciudades. La familia típica será en breve minoritaria en el Sur de Europa, siéndolo ya en el Norte. Las familias tradicionales están a su vez más diversificadas, un 25% son hijos con más de ocho abuelos, hermanos de otras etnias y razas, algunos medio hermanos. 

Los ciclos de la vida cambian y sus prioridades aparecen y desaparecen a edades no determinadas por ciclos vitales; a los 16 ó 18 años podemos ya ir a vivir fuera de casa para volver a los 40 después de haber convivido o compartido la vida con varias parejas. Los sistemas de valores entran y salen de los hogares y de las ciudades a igual velocidad que las personas; es todo un problema para las concepciones tradicionales de la vida, para los abogados, jueces, para los educadores y para los profesores de niños, adolescentes y jóvenes. Pero no lo será menos para los planificadores de las ciudades, los arquitectos y los constructores. 

La ciudad se ha erigido con el paso de los siglos en el lugar de la libertad, pero también el lugar de los peligros físicos y morales. De hecho, las ciudades siempre han sido desde el punto de vista de la seguridad muy seguras, y muy inseguras también, garantizando a un tiempo una protección que a su vez nos rodea de todo tipo de peligros. Esta doble naturaleza de la ciudad se manifiesta en la gestión del riesgo, físico, moral, económico, especulativo. Es típico de la sociedad moderna querer conocer y controlar el futuro, y para ello intenta desarrollar ciencias específicas que no suelen comunicarse unas con otras, no son holísticas, conocer y medir las probabilidades de que se produzca un acontecimiento, aprender, estudiar y tomar las decisiones necesarias para mitigarlo o hacerlo desaparecer es una prioridad imposible de abarcar con modelos del siglo XX. 

El riesgo es una noción típica de la modernidad, ha crecido con ella, domina en la actualidad a la ciudad y por lo tanto lo que hay en ella: todas las costumbres y relaciones sociales. Podemos afirmar que ya somos la sociedad del riesgo. 




4. AUTORIDAD Y MODERNIDAD: EL PAPEL FUNDAMENTAL DE LA CIENCIA Y LA CULTURA

La tercera revolución urbana moderna suscita cambios profundos en las formas de pensar, construir y gestionar nuestras ciudades. La evolución a nuevas necesidades, a nuevas formas de pensar y actuar, de los vínculos sociales, el desarrollo de nuevas ciencias y nuevas tecnologías ya presentes y el cambio de naturaleza y escala de los desafíos colectivos, el medio ambiente es ya un patrimonio social sobre el que nace la discordia, es social y es nuestro patrimonio, y pensando así adoptamos una postura muy moderna pero de apropiación de una dinámica que apenas conocemos y menos aún podemos controlar.

Posiciones de explotación o de preservación van dando lugar poco a poco a un nuevo urbanismo muy alejado ya de las propuestas carentes de resiliencia de aquel paleourbanismo del siglo XX y que necesitaba formas de gobierno firmes, decididas y que dispusieran de poderes fuertes, para ser capaces de mantener el orden. Los ciudadanos se informan de todo paso de los dirigentes, opinan y modifican proyectos, grandes infraestructuras o estrategias energéticas.

Aquella autoridad de antaño la vemos hoy desvanecerse, se apoyaba en la intermediación social de un estilo de familia tradicional, de la escuela, la Iglesia, el comercio, era un tipo de gobierno protegido y centralizado que hoy vemos cómo desaparece. Hoy ni siquiera está siendo capaz de dar una respuesta contundente y satisfactoria a cualquier desgracia natural. Es necesario un modelo interactivo Sociedad-Naturaleza que enfatice en el hecho de que ésta no acabe con aquella y viceversa. 

Los científicos sociales raramente se adelantan y se atreven a avanzar pautas generales y flexibles, participan en políticas de diagnosis que alimentan estudios de urbanismo, consultorías y hasta departamentos de urbanismo de universidades, con una influencia anecdótica en planes y proyectos, grandes o locales, las administraciones menos aún, no está ya en su genética el adelantarse a un conocimiento mucho más refinado, holístico y participativo del medio: LA CIENCIA y de las relaciones humanas con él, entre nosotros y nuestra herencia histórica: LA CULTURA. Los dos pilares sobre los que se debe pensar el multidisciplinar urbanismo del presente, su escenario es una sociedad que ya es capaz de individualizar el espacio-tiempo en unas ciudades que se dilatan de manera imparable.

MANIFESTACIÓN ANTI-FRACKING EN ANDALUCÍA